Una società Alfa, controllante di Beta Spa, vanta dei crediti di natura commerciale nei confronti di quest’ultima. Alfa dismette successivamente la propria partecipazione e quando ormai è ex socia, rinuncia al credito commerciale nei confronti di beta. Si chiede se per Beta, questa rinuncia da parte dell’ex socia Alfa, dia luogo a una sopravvenienza attiva tassabile, alla stregua di un qualsiasi normale fornitore, o se, diversamente, subentrano altre valutazioni specifiche.
Si ritiene che la rinuncia al credito operata da Alfa determini per Beta una sopravvenienza attiva tassabile ai sensi dell’articolo 88 dei Tuir. Invece, per Alfa, la rinuncia o remissione del debito genera una perdita su crediti che non deve celare una qualche forma di liberalità, per evitare le possibili censure dell’Amministrazione finanziaria.
Infatti, come chiarito dalla circolare 1° agosto 2013, n. 26, nel caso di rinuncia o remissione del debito, sebbene si sia in presenza dell’estinzione giuridica del credito in capo al creditore, nonché dell’esclusione di ogni futuro effetto economico-patrimoniale del credito in capo al medesimo, la perdita rilevata matura in un contesto di unilateralità e può pertanto rappresentare un atto di liberalità indeducibile ai fini fiscali. Conseguentemente, si ritiene che la deducibilità ai sensi dell’articolo 101, comma 5 del Tuir, di una perdita evidenziata a seguito di un atto formale di remissione o di rinuncia al credito possa essere riconosciuta solo se la stessa risulti inerente all’attività d’impresa (e non appaia quindi come una liberalità). Tale inerenza può ritenersi verificata, in linea di principio, se sono dimostrate le ragioni di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità delle azioni esecutive (Corte di Cassazione, sentenza n. 11329 del 29 agosto 2001).
Fonte: Il Sole 24 Ore. A cura di Gianluca Dan.